MARKET FLASH:

"It seems the donkey is laughing, but he instead is braying (l'asino sembra ridere ma in realtà raglia)": si veda sotto "1927-1933: Pompous Prognosticators" per avere la conferma che la storia non si ripete ma fà la rima.


giovedì 14 febbraio 2013

I giapponesi conoscono poco l'effetto "J"?

Come se la svalutazione di circa il 20% negli ultimi mesi per lo Yen non fosse stata sufficiente, il governo giapponese sta attivando direttamente il "motore per la produzione di inflazione": le autorità giapponesi hanno infatti imposto alle cinque maggiori raffinerie sanzioni che le costringeranno indirettamente a ridurre la loro produzione per 1,1 milioni di barili al giorno (ovvero del 20%). Non è infatti difficile notare il recente aumento subito dal prezzo della benzina e dei prezzi delle materie prime di base (in prima fila il WTI ed il Brent) in Yen. Pare insomma che la politica di Abe (detta anche Abenomics, forse per la sua originalità) veda e consideri solo il lato positivo di una maggiore dell'inflazione (focalizzandosi sulla limitazione dell'offerta) – differentemente da quanto invece percepisce il consumatore, che vede invece ridursi il suo potere d'acquisto e rincarare i beni di prima necessità. La flessione nel potere di acquisto deprime la fiducia dei consumatori e quindi, dopo il primo impulso inflazionistico, nel momento in cui essi hanno adattato i consumi al minor reddito disponibile in termini reali, incide negativamente sulla domanda interna. Se alternativamente i consumatori, visti nel loro ruolo di prestatori d'opera, di fronte alla contrazione del potere d'acquisto chiedono un maggior compenso lavorativo e lo ottengono, essi tendono indirettamente a schiacciare - in ultima analisi - i margini del sistema produttivo. In qualsiasi caso, di fatto, oltre il breve termine non appare possibile evitare l'impatto deflazionistico dei maggiori costi di produzione. Una cosa è comunque certa: Abe è assolutamente determinato, non importa quale risultato o contumelia possa sortire dal G-20, a perseguire per la sua strada. Forse è per questo che i titoli di stato nipponici (JGB) non hanno reagito più di tanto a partire dall'inizio del forte deprezzamento dello Yen: verosimilmente leggono nella probabilità di una maggiore inflazione sul breve termine la certezza di un'altrettanto marcata deflazione oltre tale orizzonte temporale.

La Francia si unisce al club dei PIIGS ? Qualche segnale spinge verso la risposta affermativa

Recita il detto: "In vino veritas". Forse, allora, aveva alzato un po' il gomito il ministro francese del lavoro, Michel Sapin, quando il 28 gennaio scorso in occasione di una dichiarazione alla stampa descrisse la Francia come un paese in "totale bancarotta" ("totally bankrupt"), dimenticando che nella versione per l'uomo della strada la Francia è uno dei paesi più stabili in Europa. Che sbadato! La verità, posto che la crescita del PIL nel 2012 è nulla (-0,3% nell'ultimo trimestre dell'anno) ed in attesa dei dati riguardanti i trimestri e gli anni futuri, può venire da alcuni "early indicator", tipici delle economie ad industrializzazione avanzata. Un rapido sguardo ai dati economici relativi ai settori dei servizi europei forniti dalla società di analisi Markit mostra che l'Italia ha registrato una flessione record per l'indice PMI relativo all'occupazione nel settore dei servizi a gennaio. Contemporaneamente, l'indice PMI Markit relativo al settore dei servizi in Francia mostra, nello stesso periodo, un caduta molto ripida dei servizi alle imprese (43,6 a gennaio contro il 45,2 di dicembre), la più elevata dal marzo 2009. Inoltre, il tasso di contrazione ha subito l'accelerazione più significativa dal medesimo periodo. I nuovi ordini sono scesi ad un ritmo più lento, ma si sono manifestati cali molto forti nel fatturato e, anche Oltralpe, nell' occupazione.  Il dato destagionalizzato di Markit per il settore dei servizi commerciali in Francia è scivolato a 43,6 in gennaio da 45,2 di dicembre. I costi di ingresso affrontati dai fornitori di servizi francesi hanno continuato ad aumentare nel periodo a cui fa riferimento l'ultimo sondaggio di Markit, con i membri del panel che lamentano in particolare il forte aumento dei prezzi di carburante, materie prime e salari, mentre i prezzi praticati dai fornitori medesimi si sono ulteriormente ridotti, segnando la caduta più ripida dal novembre 2009. In base alle osservazioni di una significativa correlazione tra andamento del PIL francese ed attività del settore dei servizi dovrebbe essere facile intuire verso dove il PIL d'Oltralpe è diretto. La situazione della Spagna e dell'Italia, già accennata, è assolutamente analoga. Solo la Germania rimbalza: l'Activity Index di Markit per i settori dei servizi passa dal 52,0 di dicembre 2012 al 55,7 di gennaio 2013. Il miglioramento complessivo delle prospettive è stato determinato in particolare da un aumento massiccio degli indici per il settore Trasporto e logistica. Se consideriamo questi indicatori come delle accettabili proxy per l'andamento dell'attività economica complessiva e per la crescita attuale e prospettica del PIL è chiaro che le divergenze all'interno di Eurozona stanno toccando dei livelli record: da una parte la Germania e dall'altra, progressivamente uno dopo l'altro, tutti gli altri paesi dell'Area. La frase del ministro francese era però inserita in un discorso che tendeva a motivare e giustificare gli sforzi profusi verso una riduzione del deficit pubblico. Il punto è che i dati della Banca di Francia mostrano che, negli ultimi mesi, un quantità ingente di capitali privati ha lasciato il paese, timorosi che il Governo socialista intenda vessare con le tasse i più facoltosi e le imprese. La citazione aneddotica dell'attore Gérard Depardieu e la sua decisione di lasciare il paese natale  può essere esemplare per tutti gli altri casi. Se i capitali lasciano la Francia ci chiediamo: "dove si dirigono?". La risposta sembra averla il Financial Times che in un recente articolo recita: "Almost €100bn of private funds flowed back into the Eurozone’s periphery late last year after action by the European Central Bank encouraged reinvestment in the crisis-hit countries. The scale of the net inflows, equivalent to about 9 per cent of the economic output of Spain, Italy, Portugal, Ireland and Greece according to calculations by ING, the Dutch bank, highlight the revival in investor confidence in Europe’s monetary union after Mario Draghi, ECB president, pledged to preserve its integrity. The return of capital has encouraged policy makers to believe the Eurozone crisis is over, with Mr. Draghi this month pointing to “positive contagion” in the region. The euro has also moved sharply higher". A quanto pare la situazione è un po' diversa: i capitali stanno semplicemente passando dalla padella alla brace nel girone degli "insolventi", in termini semplici i PIIGS, i periferici europei. Per fortuna almeno la SNB sta ancora acquistando tutti i titoli di stato francesi che riesce, per dimostrare che tutto procede per il meglio nel "totally bankrupt state". Certamente l'Eurozona di una rotazione dei capitali ne aveva uno spiccato bisogno, basta ricordarsi dei dati relativi ai prestiti alle società non finanziarie che entrano nell'aggregato di M3, del quale riportiamo di seguito un grafico preso a prestito da Société Générale e costruito sulla base dei dati forniti dalla Banca Centrale:





 
Caspita! Un deflusso record: se non fosse stato per l'affannarsi dei capitali privati a "tappare il buco" il quarto trimestre in Europa sarebbe stato un assoluto disastro di dimensioni epiche. A questo punto però possiamo solo sperare che i fondi privati siano "senza fine", "senza limiti", perché se si verificasse un riacutizzarsi del rischio in Eurozona - ci riferiamo in particolare al rischio sovrano nei paesi periferici - tutte le "scommesse" nell'area sarebbero finite e quelle in essere verrebbero verosimilmente liquidate, proprio nel momento in cui tutti stanno sperando che il peggio sia alle spalle e che l'Europa, come quasi ogni politico europeo ha affermato nelle ultime settimane, è ora stata "riparata". Ovviamente, se la Francia è in totale bancarotta, non c'è nulla che una piccola guerra diversiva potrà aggiustare. Forse allora è il momento di espandere un pochino l'offensiva in Mali: c'è una piccola interessante nazione in Asia ... chiamata Vietnam ....



sabato 9 febbraio 2013

I veri ostacoli allo sviluppo

Si sente spesso parlare di innovazione, ci sono convegni dove i relatori si riempiono la bocca di questa parola declinandola nelle più svariate accezioni con sperticate evoluzioni. Raramente però, almeno nel nostro strano Paese, si sente parlare di qualcosa che è alla base dell'innovazione: lo spirito critico, la capacità di negare lo status quo ed immaginare qualcosa di diverso da quello che sino ad oggi è ritenuto dogmaticamente invariabile e non negoziabile. In effetti può apparire strano che in una nazione dove "tutti riescono a criticare tutto" vi sia carenza di spirito critico. Il punto è che fino a che si tratta di chiacchere, di temi da bar (pensiamo alo sport nazionale: il calcio), moltissimi sono pronti alla critica, quando si tratta di passare all'azione, alla critica vera, quella che rischia di incidere sul reale, allora ne vedi pochi che non siano allineati e coperti. Stiamo parlando dello spirito critico e della libertà di critica come motore primo dell'innovazione e lo conosceva bene questo problema Galileo che pagò cara l'applicazione dello spirito critico ai problemi cosmologici. Oggi le cose non sembrano essere molto cambiate, almeno nel mondo dell'analisi e gestione dei rischi, specie di quelli economici. Il pensiero dominante, quello della deviazione standard e della gaussiana, non lascia spazio significativo. Il mondo è, e deve essere, piatto: guai ad avanzare ipotesi alternative, non importa se la realtà ogni giorno ci fornisce mille conferme empiriche dell'assurdità di un modello gaussiano - o delle sue derivazioni più o meno "elastiche" - applicato ai problemi dei rischi economico-finanziari. Caso mai, appunto, se il vestito sta stretto si allarga un pò di qua ed un po' di là, qualche agiustamento mette tutto a posto. Mi riferisco alle mille diavolerie, a partire dall'utilizzo di varianze sempre più ampie, o disparate ed originali, nella modellazione sino alle simulazioni Monte-Carlo, al postulare l'esistenza di correlazioni quando neppure in via ipotetica ne esistono i presupposti, senza neppure lontanamente ipotizzare che questi espedienti non sono altro che riaffermare che la terra è piatta e deve rimanere tale. La cosa grave non è la scelta del modello gaussiano o della distribuzione Normale - o qualsiasi derivazione della medesima - ma il paradigma che sottende tale scelta: bisogna preservare lo status-quo, meglio fare colare a picco la nave piuttosto che ammettere che la rotta è sbagliata, piuttosto che perdere il "controllo", il governo della nave. Il risultato è che si cola a picco stando al timone, salvo lasciare all'ultimo momento stile "Schettino" l'imbarcazione sulla scialuppa di salvataggio. In fondo la cattiva politica non è altro che il prodotto di una simile cultura che avvelena i gangli vitali della nostra società e della nostra economia. Guai ad affermare, non importa se è vero, che i fenomeni socio-economici sono complessi e che possono essere descritti correttamente solo da modello scalari, meglio piuttosto adattarsi alla cultura ufficiale, anche se questo significa dovere mettere le mani ai modelli formulati ed accettati un giorno si ed un giorno si. Dovere ammettere che la realtà dei fenomeni economici ha una struttura scalare significa accettare una quota di imponderabile, convivere nel mondo dell'impreciso e degli "insiemi sfumati" con una quota di imprevedibile che di fatto esiste ma che non si vuole accettare perchè ci si dovrebbe misurare con essa, dimenticando così la saggezza dei nostri nonni. Pensiamo alle distribuzioni di probabilità caratterizzate da una varianza infinita: significa che il "Governo" viene messo in dubbio, che i rischi non possono essere governati ma spesso solo prevenuti e quindi che il potere ed il controllo ha un limite e deve rispettarlo sempre. La cultura illuminista che ha avvelenato le menti, talvolta anche quelle che si ritengono più vicine al trascendente, non accetta questo limite: è l'ipocrisia e l'incoerenza di chi frequenta i banchi e commette i peggiori peccati, tanto poi basta confessarsi. Del resto sappiamo che il peccato è figlio della miseria umana, della debolezza  dell'uomo. Il punto è che, come ci insegna Nassim Nicholas Taleb, questo concede un vantaggio competitivo enorme a colui che sa distaccarsi dal gregge, che riesce ad essere l'essenza del genere umano, che preferisce essere apparentemente schiavo ma realmente libero - opposto agli apparentemente liberi schiavi del loro limite - realizzando qualcosa di intrisecamente giusto e bello. E' infatti in primo luogo una questione di bellezza: da un lato la moltitudine appiattita, anche se apparentemente prevalente, e dall'altro l'uomo libero nel Creato, perchè rispettoso dei limiti ad esso posti, solo apparentemente soccombente. Insomma se la legge scalare è la madre del bello e della proporzione assoluta il rischio degli eventi complessi può essere correttamente e bellamente misurato solo con questo metro: quando si utilizza un altro metro, apparentemente più comodo, non solo si sommano errori ad errori ma si inneggia anche al brutto, seppur "De gustibus non disputandum est". La necessità di ripararsi dietro un falso senso di sicurezza e di controllo se non avesse conseguenze drammatiche sarebbe solo una brutta manifestazione dell'imperfezione assoluta insita nella natura umana, uno scherzo risibile, il fatto è che questa impostazione in ultima analisi è il vero limite alle possibilità di sviluppo, alle possibilità di innovazione. Solo vedendo i fenomeni sotto un punto di vista diverso da quello consueto è possibile trovare le soluzioni a problemi apparentemente insolubili, quindi innovare profondamente. Bisogna cambiare il proprio punto di vista, bisogna avere coraggio ed onestà intellettuale: una merce molto rara ai nostri giorni come ai giorni di Galileo. Limitando la critica, limitando il rischio si preclude la possibilità di percorrere nuove strade certo appunto "rischiose", ma solo apparentemente più rischiose rispetto a rimanere sulla strada attuale che porta verso rovina "sicura". Il genere umano, in particolare dopo una certa età, ha difficoltà ad abbandonare le comode abitudini, preferisce che siano gli altri a farlo perchè "meglio un uovo oggi che la gallina domani": che sia questo il vero peccato originale? Forse Eva ha veramente pensato in seno suo: "meglio la mela oggi che il Paradiso domani?". Allora si cerca di sopprimere la varianza, che nella realtà significa non accettare la innata natura dei mercati (dei beni reali e dei prodotti finanziari) a mostrare un certo grado di instabilità, ad esempio inondandoli di liquidità. Peccato che questa liquidità quando non trova la via dell'economia reale - perchè la redditività attesa è troppo esigua - trova la via dell'impiego nell'economia finanziaria nella cosiddetta - impropriamente - "speculazione". Continuando a sopprimere la volatilità - manifestazione nei prezzi della varianza insita nei processi economico-finanziari e della loro ciclicità -  si sommano tensioni a tensioni ed è questa la vera "speculazione" in un riflesso infinito di specchi, di immagini senza sostanza. Come succede nella meccanica dei terremoti, quando la collisione di due placche tettoniche non da luogo a numerosi aggiustamenti di modesta o media entità ma invece accumula energia cinetica inespressa, poichè questa accumulazione non può durare all'infinito, alla fine essa sfocia in un fenomeno tellurico di dimensioni molto più consistenti e quindi molto più distruttivo, appunto seguendo una legge esponenziale. Del resto è assolutamente intuitivo, e verificabile sul campo nella realtà quotidiana e storica, capire che se si cerca di evitare la normale ciclicità dell'economia, ad esempio utilizzando il credito senza limiti per evitare che il ciclo completi la sua fase discendente, alla fine si giunge a sommare squilibri economici che inevitabilmente sfociano in un episodio recessivo profondo e quindi, talvolta, nella depressione. Poi però questi squilibri - proprio perchè legati ad un eccesso di debito - richiedono un periodo molto lungo per riassorbiti: bisogna ridurre prima gli eccessi di indebitamento (sia esso pubblico o privato) per uscire dalla depressione. Peccato che sia proprio il momento peggiore per destinare risorse economiche scarse a tale fine. Purtroppo non conta accorgersene troppo tardi - anche se i segnali erano lì a portata di mano - e cercare di rinviare il riaggiustamento od addolcire l'amare medicina del doloroso riequilibrio, con l'anestetico di massiccie dosi di liquidità: più si anestetizza la parte e si rinvia il momento del riequilibrio, più il suo conseguimento risulta doloroso e difficoltoso. Come andrà a finire, parafrasando un grande "economista" del passato, "lo scopriremo solo vivendo (Lucio Battisti)". Questo solo, però, se qualche apprendista stregone (o qualche gruppo di tale specie) non pensi sia meglio nascondere tutta la polvere sotto il tappeto di un bel conflitto armato .... non sarebbe la prima volta e qualche segnale si scorge nelle dispute tra Giappone e Cina. Un bel modo elegante - a questo punto ci chiediamo dove stia di casa la rozzezza - per risolvere i problemi.

martedì 5 febbraio 2013

2013: un anno interessante

Che il 2013 fosse un anno potenzialmente molto interessante era noto da tempo. L'impostazione fortemente espansiva delle politiche monetarie nel corso del 2012 ed il fiorire di interventi straordinari, che fanno sorridere di fronte ai ricordi della "Exit Strategy" di qualche anno fa, era di per sè un motivo di forte curiosità. Si sà: i mercati sono guidati nei momenti di grandi mutamenti di tendenza da due categorie di eventi, i cambiamenti strutturali e le politiche economiche. Il punto è che se queste ultime, specie le politiche monetarie che più ci interessano in questo frangente, non portano ai primi difficilmente possono essere definite "di successo". Insomma od i cambiamenti strutturali vengono imposti direttamente od, attraverso strumenti che ne agevolano il conseguimento, vengono ottenuti indirettamente. Pensiamo alla situazione attuale di Eurozona, è noto che basterebbero alcuni importanti cambiamenti strutturali per risolvere una buona parte dei problemi di stabilità dell'Area: una Banca Centrale che sia anche prestatore di ultima istanza, un nucleo (almeno) di finanza pubblica dell'Area, possibilmente un'unione politica e non solo monetaria. Obiettivi ambiziosi verso i quali la Vigilanza Bancaria comune sarebbe - o forse, direbbero i "pessimisti" ad oltranza, sarebbe stata - il primo passo ed una forma di tutela comune dei depositi il secondo od il terzo.  La strada verso questi ultimi obiettivi intermedi è stata tracciata nel giugno scorso ed ha trovato un primo punto di accordo verso la fine del 2012. Il fatto è che il percorso non è stato liberato del tutto da resistenze e presenta punti di difficoltà ancora irrisolti. Le vicende recenti relative al Monte dei Paschi di Siena sembrano inoltre aver portato al pettine - forse ci sbagliamo - alcuni nodi di una certa rilevanza. In primo luogo la vicenda del Gruppo bancario italiano sembrava sino a qualche giorno fa, un problema meramente nazionale, certo con rilevanti riflessi e collegamenti internazionali ma ancora limitato per quanto riguarda i protagonisti alla ribalta direttamente coinvolti, all'ambito del sistema bancario italiano. Gli ultimi sviluppi tendono invece a delineare un quadro più complesso nel quale vanno a collocarsi anche importanti gruppi bancari europei ed extra-europei. In effetti però ad inizio dicembre era stata divulgata la notizia di tre dipendenti che accusavano la Deutsche Bank di aver nascosto, durante il periodo caldo della crisi finanziaria 2007-2009, perdite per 12 miliardi di USD. Le perdite erano legate ad una posizione in derivati. Si sono visti anche titoli del seguente tenore: anche la Germania ha il suo Monte dei Paschi. Un brutto vulnus alla credibilità del sistema finanziario, un colpo che forse in passato avrebbe fatto cadere subito molte teste. Ora, saltando solo apparentemente di palo in frasca, consideriamo la linea di politica monetaria del recente passato. Le inedite iniezioni di liquidità a cui abbiamo assistito negli ultimi 14 mesi sono state salutate da molti come un argine decisivo al contagio del sistema creditizio internazionale ed europeo di fronte alle turbolenze dei debiti sovrani in Eurozona. Si diceva che era stato rotto il circuito perverso tra difficoltà della finanza pubblica e difficoltà del sistema bancario. Posto che gli ultimi eventi potrebbero mettere in dubbio una simile affermazione, il timore è che l'efficacia marginale di dette misure sia indirettamente proporzionale all'intervallo di tempo durante il quale esse vengono prese ed alla loro entità e, soprattutto, che questa efficacia sia molto diminuita nel recente passato proprio per un eccesso di interventismo. Ci spieghiamo meglio: l'interrogativo se queste misure abbiano rappresentato solo un ponte, solo uno strumento per guadagnare tempo in attesa di una soluzione strutturale, appare oggi tutt'altro che peregrino. Le stesse autorità hanno a più riprese ribadito la necessità di compiere cambiamenti strutturali affinchè l'effetto delle misure monetarie potesse risultare duraturo nel tempo e risolutivo. Oggi a distanza di circa cinque mesi dal lancio delle OMT e di circa 12 mesi dall'ultima LTRO è invece bastata l'avvisaglia di una turbolenza politica in Italia ed in Spagna per riportare in primo piano il problema Eurozona ed in particolare il "Caso Italia"  sui mercati finanziari internazionali. O forse no? O forse le turbolenze politiche succitate sono solo due tessere di un mosaico più complesso in cui MPS ha giocato il ruolo di cartina di tornasole di problemi più profondi e meno visibili legati alle condizioni del sistema bancario continentale e dell'Area UME? L'allargarsi delle indagini oltre frontiera potrebbe essere un elemento che spinge in quest'ultima direzione. Ci sono forse ostacoli ignoti che potrebbero frenare i cambiamenti strutturali necessari, parte dei quali già disegnati ed in via di realizzazione? Potrebbero essere necessarie ulteriori e più pesanti dosi di politica monetaria, rispetto a quelle sino ad oggi somministrate, per evitare un eccessiva instabilità finanziaria o dei mercati? Parafrasando il Cigno Nero di Nicholas Nassim Taleb, è nella natura umana cercare collegamenti tra risultati oggettivi sui mercati finanziari e fatti di dominio pubblico. Il punto è che la fallacia narrativa (il riuscire a trovare a posteriori delle giustificazioni ai fatti accaduti) è sempre in agguato mentre non prendiamo mai in considerazione le prove silenziose. Infatti ci basiamo nel formulare i nostri giudizi solo su ciò che conosciamo, anche se ciò che non conosciamo potrebbe capovolgere le nostre convinzioni (da Cicerone: dove sono gli ex voto di quelli che hanno pregato e sono morti lo stesso?). I prezzi di mercato però invece tendono a solleticare lo scetticismo: se si muovono in una certa direzione non è spesso più opportuno e proficuo trascurare le notizie a disposizione del pubblico cercando invece eventi che non hanno ancora prodotto una notizia pubblica ma che, con una certa verosimiglianza e seppur ignoti, hanno prodotto un movimento sui prezzi di mercato (il movimento dei prezzi è certamente oggettivo mentre l'interpretazione del collegamento tra la notizia e le vicende di mercato è spesso altamente soggettiva e tendenzialmente frutto di "herding")? Il timore, detto francamente, è che i ciclopici interventi monetari dell'ultimo anno siano serviti solamente a "calciare più avanti la lattina" in attesa di qualche miracolo che non è accaduto ed, anzi, potrebbero ritorcersi contro gli intenti originari, fornendo al mercato lo strumento per ampliare la sua volatilità. Del resto la maggiore liquidità, passata la sbornia iniziale, se non si riversa a favore dell'economia reale probabilmente finisce nelle attività di speculazione finanziaria e può rappresentare una leva sulla base della quale ampliare il credito a tale ultimo fine. Quindi, sempre "forse" (alla faccia della sicumera di tanti "apprendisti stregoni", magari investiti di ufficialità), ad oggi ancora non ci rendiamo conto quanto potrà essere "interessante" questo anno e quali turbolenze saranno alle spalle quando esso sarà finito. Personalmente sono convinto che le sorprese, per molti ma non per tutti, saranno di una certa rilevanza. A fine anno potremmo, ad esempio, trovarci con corsi azionari su livelli molto più bassi degli attuali oppure, alternativamente, con una molte macerie sui mercati delle obbligazioni pubbliche. Certamente il mercato dei cambi attraverserà, e lo abbiamo già visto ad inizio anno, periodi di intensa e drammatica volatilità (si badi bene che la volatilità non ha un'unica direzione). Insomma il pivot a quota 1353 per lo S&P500 potrebbe ripresentarsi molto prima del dicembre 2013 e quindi, considerando l'anno un orizzonte di medio periodo, mantenere validi i termini del commento formulato a fine dicembre riguardante il mercato azionario statunitense. Del resto non sempre mancare un'onda finale di un trend di medio periodo può rappresentare un errore se questo serve ad evitare di rimanere "appesi" ad un'inversione del trend medesimo. Riguardo alle materie prime poi, anche se uno scenario rialzista potrebbe essere interessato da qualche ritardo, non abbiamo alcun dubbio circa la sua prossima realizzazione: le azioni di calmierazione possono essere anche consistenti ma alla fine il mercato prevarrà e la nostra fiducia nei meccanismi di mercato è più forte della portata degli interventi che tendono a reprimere una volatilità normale (certo se inondi i mercati di moneta il concetto di normalità tende a spostarsi su livelli molto più elevati) e fisiologica. Anzi, sempre ricordando Taleb, più si cerca nel presente di reprimere la volatilità più gli effetti saranno intensi nel futuro. Come per i terremoti più è lungo il tempo durante il quale la forza si accumula senza dare luogo a manifestazioni visibili, più sarà elevata l'intensità dei fenomeni tellurici nel momento in cui questi si manifesteranno. L'unica speranza quando si parla di terremoti è quella di subire scosse ripetute di media intensità piuttosto che un'unica scossa di intensità elevata e distruttiva. La politica monetaria ultimamente sembra però lavorare in senso contrario: invece di lasciare che si manifestino frequenti turbolenze di media entità tende a reprimerle, accumulando una forza spaventosa che può manifestarsi più raramente ma con intensità estrema. In questi casi si può parlare della solita tendenza deviante ed illuminista del genere umano, che ritiene possibile controllare gli eventi anche quando questi sono particolarmente complessi? Se così fosse, se esistesse la presunzione di potere controllare eventi di complessiva straordinaria, sarebbe una forma di notevole e sgradevole illusione che collide oggi, in questi tempi di eccessiva fiducia negli strumenti di "governo", con la saggezza di molte generazioni passate.