Come se la svalutazione di circa il 20% negli ultimi mesi per lo Yen non fosse stata sufficiente, il governo giapponese sta attivando direttamente il "motore per la produzione di inflazione": le autorità giapponesi hanno infatti imposto alle cinque maggiori raffinerie sanzioni che le costringeranno indirettamente a ridurre la loro produzione per 1,1 milioni di barili al giorno (ovvero del 20%). Non è infatti difficile notare il recente aumento subito dal prezzo della benzina e dei prezzi delle materie prime di base (in prima fila il WTI ed il Brent) in Yen. Pare insomma che la politica di Abe (detta anche Abenomics, forse per la sua originalità) veda e consideri solo il lato positivo di una maggiore dell'inflazione (focalizzandosi sulla limitazione dell'offerta) – differentemente da quanto invece percepisce il consumatore, che vede invece ridursi il suo potere d'acquisto e rincarare i beni di prima necessità. La flessione nel potere di acquisto deprime la fiducia dei consumatori e quindi, dopo il primo impulso inflazionistico, nel momento in cui essi hanno adattato i consumi al minor reddito disponibile in termini reali, incide negativamente sulla domanda interna. Se alternativamente i consumatori, visti nel loro ruolo di prestatori d'opera, di fronte alla contrazione del potere d'acquisto chiedono un maggior compenso lavorativo e lo ottengono, essi tendono indirettamente a schiacciare - in ultima analisi - i margini del sistema produttivo. In qualsiasi caso, di fatto, oltre il breve termine non appare possibile evitare l'impatto deflazionistico dei maggiori costi di produzione. Una cosa è comunque certa: Abe è assolutamente determinato, non importa quale risultato o contumelia possa sortire dal G-20, a perseguire per la sua strada. Forse è per questo che i titoli di stato nipponici (JGB) non hanno reagito più di tanto a partire dall'inizio del forte deprezzamento dello Yen: verosimilmente leggono nella probabilità di una maggiore inflazione sul breve termine la certezza di un'altrettanto marcata deflazione oltre tale orizzonte temporale.
Economic commentaries, articles and news reflecting my personal views, present trends and trade opportunities. By F. F. F. Russo (PLEASE NO MISUNDERSTANDING: IT'S FREE).
giovedì 14 febbraio 2013
La Francia si unisce al club dei PIIGS ? Qualche segnale spinge verso la risposta affermativa
Recita il detto: "In
vino veritas". Forse, allora, aveva alzato un po' il gomito il ministro
francese del lavoro, Michel Sapin, quando il 28 gennaio scorso in occasione di
una dichiarazione alla stampa descrisse la Francia come un paese in
"totale bancarotta" ("totally bankrupt"), dimenticando che nella
versione per l'uomo della strada la Francia è uno dei paesi più stabili in
Europa. Che sbadato! La verità, posto che la crescita del PIL nel 2012 è nulla (-0,3% nell'ultimo trimestre dell'anno) ed in attesa dei dati riguardanti i trimestri e gli anni futuri,
può venire da alcuni "early indicator", tipici delle economie ad
industrializzazione avanzata. Un rapido sguardo ai dati economici relativi ai
settori dei servizi europei forniti dalla società di analisi Markit mostra che l'Italia
ha registrato una flessione record per l'indice PMI relativo all'occupazione
nel settore dei servizi a gennaio. Contemporaneamente, l'indice PMI Markit
relativo al settore dei servizi in Francia mostra, nello stesso periodo, un
caduta molto ripida dei servizi alle imprese (43,6 a gennaio contro il 45,2 di
dicembre), la più elevata dal marzo 2009. Inoltre, il tasso di contrazione ha
subito l'accelerazione più significativa dal medesimo periodo. I nuovi ordini
sono scesi ad un ritmo più lento, ma si sono manifestati cali molto forti nel
fatturato e, anche Oltralpe, nell' occupazione. Il dato destagionalizzato di Markit per il
settore dei servizi commerciali in Francia è scivolato a 43,6 in gennaio da
45,2 di dicembre. I costi di ingresso affrontati dai fornitori di servizi
francesi hanno continuato ad aumentare nel periodo a cui fa riferimento
l'ultimo sondaggio di Markit, con i membri del panel che lamentano in
particolare il forte aumento dei prezzi di carburante, materie prime e salari,
mentre i prezzi praticati dai fornitori medesimi si sono ulteriormente ridotti,
segnando la caduta più ripida dal novembre 2009. In base alle osservazioni di
una significativa correlazione tra andamento del PIL francese ed attività del
settore dei servizi dovrebbe essere facile intuire verso dove il PIL d'Oltralpe
è diretto. La situazione della Spagna e dell'Italia, già accennata, è
assolutamente analoga. Solo la Germania rimbalza: l'Activity Index di Markit
per i settori dei servizi passa dal 52,0 di dicembre 2012 al 55,7 di gennaio
2013. Il miglioramento complessivo delle prospettive è stato determinato in
particolare da un aumento massiccio degli indici per il settore Trasporto e
logistica. Se consideriamo questi indicatori come delle accettabili proxy per
l'andamento dell'attività economica complessiva e per la crescita attuale e
prospettica del PIL è chiaro che le divergenze all'interno di Eurozona stanno
toccando dei livelli record: da una parte la Germania e dall'altra,
progressivamente uno dopo l'altro, tutti gli altri paesi dell'Area. La frase
del ministro francese era però inserita in un discorso che tendeva a motivare e
giustificare gli sforzi profusi verso una riduzione del deficit pubblico. Il
punto è che i dati della Banca di Francia mostrano che, negli ultimi mesi, un quantità
ingente di capitali privati ha lasciato il paese, timorosi che il Governo
socialista intenda vessare con le tasse i più facoltosi e le imprese. La
citazione aneddotica dell'attore Gérard Depardieu e la sua decisione di lasciare il paese
natale può essere esemplare per tutti
gli altri casi. Se i capitali lasciano la Francia ci chiediamo: "dove si
dirigono?". La risposta sembra
averla il Financial Times che in un recente articolo recita: "Almost €100bn of
private funds flowed back into the Eurozone’s periphery late last year after
action by the European Central Bank encouraged reinvestment in the crisis-hit
countries. The scale of the net inflows, equivalent to about 9 per cent of the
economic output of Spain, Italy, Portugal, Ireland and Greece according to
calculations by ING, the Dutch bank, highlight the revival in investor
confidence in Europe’s monetary union after Mario Draghi, ECB president,
pledged to preserve its integrity. The return of capital has encouraged policy
makers to believe the Eurozone crisis is over, with Mr. Draghi this month
pointing to “positive contagion” in the region. The euro has also moved sharply higher". A quanto pare la situazione è un po' diversa: i
capitali stanno semplicemente passando dalla padella alla brace nel girone
degli "insolventi", in termini semplici i PIIGS, i periferici europei.
Per fortuna almeno la SNB sta ancora acquistando tutti i titoli di stato
francesi che riesce, per dimostrare che tutto procede per il meglio nel
"totally bankrupt state". Certamente l'Eurozona di una rotazione dei
capitali ne aveva uno spiccato bisogno, basta ricordarsi dei dati relativi ai
prestiti alle società non finanziarie che entrano nell'aggregato di M3, del
quale riportiamo di seguito un grafico preso a prestito da Société Générale e costruito
sulla base dei dati forniti dalla Banca Centrale:
Caspita!
Un deflusso record: se non fosse stato per l'affannarsi dei capitali privati a
"tappare il buco" il quarto trimestre in Europa sarebbe stato un
assoluto disastro di dimensioni epiche. A questo punto però possiamo solo sperare
che i fondi privati siano "senza fine", "senza limiti",
perché se si verificasse un riacutizzarsi del rischio in Eurozona - ci
riferiamo in particolare al rischio sovrano nei paesi periferici - tutte le
"scommesse" nell'area sarebbero finite e quelle in essere verrebbero
verosimilmente liquidate, proprio nel momento in cui tutti stanno sperando che
il peggio sia alle spalle e che l'Europa, come quasi ogni politico europeo ha
affermato nelle ultime settimane, è ora stata "riparata". Ovviamente,
se la Francia è in totale bancarotta, non c'è nulla che una piccola guerra
diversiva potrà aggiustare. Forse allora è il momento di espandere un pochino
l'offensiva in Mali: c'è una piccola interessante nazione in Asia ... chiamata
Vietnam ....